IL TEMPO E L’UOMO
Esistono al mondo pochi concetti tanto ardui da definire, tanto problematici da connotare, quanto quella speciale categoria aristotelica che chiamiamo tempo. Paradossalmente, un’entità con cui pure ci misuriamo nella pratica di ogni giorno e dalla quale ci giungono riscontri continui nel corso dell’esistenza – un’entità, insomma, di innegabile concretezza nei rapporti indotti di causa ed effetto – sfugge misteriosa a una classificazione esaustiva che ne determini con precisione confini e peculiarità.
Cos’è dunque il tempo ? Qualcosa di singolarmente diverso a seconda del particolare punto di vista di osservazione dell’esaminatore e delle circostanze oggettive.
Il suo rivelarsi elastico, compreso tra due opposti ordini di infinità – l’estremamente piccolo e l’incommensurabilmente grande – il suo stupefacente accorciarsi e allungarsi per lo stesso soggetto che ad esso affida le proprie emozioni, rende davvero frustrante qualsiasi tentativo di affermarne la natura, eterea e turgida insieme.
Invano cercheremo di imbrigliarlo con la scansione dei centesimi di secondo nei cronometri di precisione o attraverso il conio di detti, proverbi, ammonimenti che aiutino a dipingerne la fisionomia.
Ricordo una volta in cui un amico, avendo notato su tutte le pendole di un negozio di arredamento il sussiegoso motto “tempus fugit” e masticando egli assai poco il latino, mi chiese candidamente se quella minuscola targhetta di metallo era…la marca del fabbricante. Lì per lì risi spudoratamente alla buffa uscita, ma poi, tornato serio, quasi sottovoce gli dissi : “Beh, in un certo senso si”. Aveva trovato il modo, l’ineffabile, di farsi un’altra volta beffe di noi, poveri acchiappafantasmi con le mani legate.
Il tempo. Un guizzo, una condanna, due facce contrapposte di un problema irrisolvibile.
Tante sono le esperienze legate al tempo e ognuno le ha conosciute, le ha vissute febbricitante: il tempo del piacere, della gioia, dell’esaltazione, rapido come il fulmine. Quello del dolore, della noia, del disagio insopportabilmente lento.
Me lo ricordo bene da militare: due ore al cinema, un lampo, le stesse due ore di servizio notturno alla polveriera, calato nel freddo e nella nebbia sulle rive del Mincio, una tortura feroce.
Inesauribili esempi ci mostrano quanto subdola appaia tale dimensione, come se essa non possedesse consistenza indipendente, intrinseca. Il tempo cronologico, almeno rispetto a noi viventi e pensanti, non è in sé, bensì soltanto in ciò che di esso percepiamo. Come dire una sorta di relatività casereccia, lontana da astruse equazioni ma terribilmente seria.
Infatti il tempo del passato si contrae, si accartoccia nella nostra memoria, si lacera, si frammenta in tanti minuscoli cocci di specchio, davanti a ciascuno dei quali, nostalgici o pentiti, orgogliosi o depressi, ci rivediamo sempre diversi. E il tempo del futuro, elusiva chimera, ci avvolge con le sue seduzioni cangianti e le sue crudeli ansie, pronto a mutare repentinamente maschera.
Oh, sforziamoci, sforziamoci pure ad afferrarlo, a stringerlo nelle nostre mani per comprenderne meglio la natura e il carattere: inutile, non ci riusciamo.
Ci danzerà intorno tra passato, presente e futuro, si esibirà nei suoi numeri spettacolari, nei suoi esercizi acrobatici e incomprensibili, un centomiliardesimo di secondo, diecimila miliardi di anni, ma non si farà rinchiudere in un laboratorio di analisi.
Poi un bel giorno, stanco di averci ubriacato di giochi e di funamboliche piroette, verrà alla nostra porta con aria molto compunta ad annunciarci che anche per noi è giunto il tempo. Quello inappellabile. L’ultimo.
Alcune delle prerogative che l’uomo riconosce al concetto di tempo, così come abbiamo faticosamente - e certo parzialmente - provato a interpretare, sembrano appartenere anche al Gruppo Arte Totale, impegnato nell’occasione a tradurne e comprenderne visivamente l’essenza.
Impresa di per sé al limite della follia, sia pure artistica: del resto è noto che non di rado arte e insania giocano a inseguirsi su binari paralleli.
Ma proprio per questa sua dimensione di sfida all’impossibile, i sei “temerari” che compongono il sodalizio affrontano la prova alla stregua di un semplice istante del loro divenire. Sapendo già, prima ancora di mettersi all’opera, che l’istante può rivelarsi breve o lungo a misura che lo si viva o lo si percepisca in una condizione d’animo o in una diversa.
Quello che però informa la natura dell’attività di Greco, Posillico, Leto, non è tanto la voglia di scoprire di quale tipo sarà la percezione - loro o altrui - di quell’istante, quanto di rappresentare con naturalezza essi stessi il fenomeno del divenire.
In altra parole il Gruppo Arte Totale, se appena se ne riguarda il cammino con un minimo di attenzione, mostra di anelare non allo sviluppo di una inquadrabile corrente artistica in evoluzione, bensì di costituire spensieratamente, di tale corrente, una colorata cellula felice.
Nando Tonon
Esistono al mondo pochi concetti tanto ardui da definire, tanto problematici da connotare, quanto quella speciale categoria aristotelica che chiamiamo tempo. Paradossalmente, un’entità con cui pure ci misuriamo nella pratica di ogni giorno e dalla quale ci giungono riscontri continui nel corso dell’esistenza – un’entità, insomma, di innegabile concretezza nei rapporti indotti di causa ed effetto – sfugge misteriosa a una classificazione esaustiva che ne determini con precisione confini e peculiarità.
Cos’è dunque il tempo ? Qualcosa di singolarmente diverso a seconda del particolare punto di vista di osservazione dell’esaminatore e delle circostanze oggettive.
Il suo rivelarsi elastico, compreso tra due opposti ordini di infinità – l’estremamente piccolo e l’incommensurabilmente grande – il suo stupefacente accorciarsi e allungarsi per lo stesso soggetto che ad esso affida le proprie emozioni, rende davvero frustrante qualsiasi tentativo di affermarne la natura, eterea e turgida insieme.
Invano cercheremo di imbrigliarlo con la scansione dei centesimi di secondo nei cronometri di precisione o attraverso il conio di detti, proverbi, ammonimenti che aiutino a dipingerne la fisionomia.
Ricordo una volta in cui un amico, avendo notato su tutte le pendole di un negozio di arredamento il sussiegoso motto “tempus fugit” e masticando egli assai poco il latino, mi chiese candidamente se quella minuscola targhetta di metallo era…la marca del fabbricante. Lì per lì risi spudoratamente alla buffa uscita, ma poi, tornato serio, quasi sottovoce gli dissi : “Beh, in un certo senso si”. Aveva trovato il modo, l’ineffabile, di farsi un’altra volta beffe di noi, poveri acchiappafantasmi con le mani legate.
Il tempo. Un guizzo, una condanna, due facce contrapposte di un problema irrisolvibile.
Tante sono le esperienze legate al tempo e ognuno le ha conosciute, le ha vissute febbricitante: il tempo del piacere, della gioia, dell’esaltazione, rapido come il fulmine. Quello del dolore, della noia, del disagio insopportabilmente lento.
Me lo ricordo bene da militare: due ore al cinema, un lampo, le stesse due ore di servizio notturno alla polveriera, calato nel freddo e nella nebbia sulle rive del Mincio, una tortura feroce.
Inesauribili esempi ci mostrano quanto subdola appaia tale dimensione, come se essa non possedesse consistenza indipendente, intrinseca. Il tempo cronologico, almeno rispetto a noi viventi e pensanti, non è in sé, bensì soltanto in ciò che di esso percepiamo. Come dire una sorta di relatività casereccia, lontana da astruse equazioni ma terribilmente seria.
Infatti il tempo del passato si contrae, si accartoccia nella nostra memoria, si lacera, si frammenta in tanti minuscoli cocci di specchio, davanti a ciascuno dei quali, nostalgici o pentiti, orgogliosi o depressi, ci rivediamo sempre diversi. E il tempo del futuro, elusiva chimera, ci avvolge con le sue seduzioni cangianti e le sue crudeli ansie, pronto a mutare repentinamente maschera.
Oh, sforziamoci, sforziamoci pure ad afferrarlo, a stringerlo nelle nostre mani per comprenderne meglio la natura e il carattere: inutile, non ci riusciamo.
Ci danzerà intorno tra passato, presente e futuro, si esibirà nei suoi numeri spettacolari, nei suoi esercizi acrobatici e incomprensibili, un centomiliardesimo di secondo, diecimila miliardi di anni, ma non si farà rinchiudere in un laboratorio di analisi.
Poi un bel giorno, stanco di averci ubriacato di giochi e di funamboliche piroette, verrà alla nostra porta con aria molto compunta ad annunciarci che anche per noi è giunto il tempo. Quello inappellabile. L’ultimo.
Alcune delle prerogative che l’uomo riconosce al concetto di tempo, così come abbiamo faticosamente - e certo parzialmente - provato a interpretare, sembrano appartenere anche al Gruppo Arte Totale, impegnato nell’occasione a tradurne e comprenderne visivamente l’essenza.
Impresa di per sé al limite della follia, sia pure artistica: del resto è noto che non di rado arte e insania giocano a inseguirsi su binari paralleli.
Ma proprio per questa sua dimensione di sfida all’impossibile, i sei “temerari” che compongono il sodalizio affrontano la prova alla stregua di un semplice istante del loro divenire. Sapendo già, prima ancora di mettersi all’opera, che l’istante può rivelarsi breve o lungo a misura che lo si viva o lo si percepisca in una condizione d’animo o in una diversa.
Quello che però informa la natura dell’attività di Greco, Posillico, Leto, non è tanto la voglia di scoprire di quale tipo sarà la percezione - loro o altrui - di quell’istante, quanto di rappresentare con naturalezza essi stessi il fenomeno del divenire.
In altra parole il Gruppo Arte Totale, se appena se ne riguarda il cammino con un minimo di attenzione, mostra di anelare non allo sviluppo di una inquadrabile corrente artistica in evoluzione, bensì di costituire spensieratamente, di tale corrente, una colorata cellula felice.
Nando Tonon
Euroboros - Terracotta - 2009
Equazione del tempo - Acrilico su tavola - 2008
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